
Non scriverne è difficile; scriverne, però, ancora di più. Per chi vive in Italia gli svizzeri sono quelli un po' lenti che corrono la stramendrisio e mangiano il ghiacciolo al tamarindo, da guardare con un sorriso non troppo simpatico - è vero - ma comunque condiscendente. In Ticino, invece, per tanti loro sono i "tagliàn". Una parola detta spesso con aria ironica, ma è un'ironia diversa, un po' risentita. Un'espressione che insieme significa tante cose, ma che soprattutto ha in sé un certo disprezzo, coperto malamente da un "dai, tanto si dice per scherzare". Lo scudo fiscale l'anno scorso non ha certo fatto impazzire di gioia la Confederazione, ma paradossalmente quello che a certuni piace ancora meno è che ci siano lavoratori che vengono da "di là", che passano ogni giorno il confine perché "di qui" le condizioni salariali sono indiscutibilmente migliori, e magari c'è pure qualche possibilità in più. Quanto disturbano, questi frontalieri, poi sai quante code in autostrada si formano per colpa loro? Sono come topi che vengono a rubare il nostro buon formaggio. Non siamo ancora fuori dalla crisi, e non è certo solo in Svizzera che fenomeni sociali di questo tipo si esacerbano. Per fortuna c'è l'indignazione pubblica. Quella sì, ci fa ancora sapere di essere effettivamente in un Paese civile, nato dall'integrazione di culture diverse. Perché la Svizzera è davvero questo: "una sorta di piccola Europa ante litteram".