lunedì 26 aprile 2010

Le favole delle bancherotte


Chissà cosa direbbero i fratelli Grimm, se gli capitasse di ascoltare le favole nate nei tempi moderni. Roba d'avanguardia: dimenticati i lupi cattivi e le streghe malefiche, i mostri da cui mettere in guardia i bambini hanno assunto sembianze molto più quotidiane, e nevrotiche. In Svizzera, naturalmente, anche in questo contesto non si potevano dimenticare i problemi finanziari: tanto che, per educare i più piccoli a non indebitarsi, l'associazione Pro Juventute si è inventata un racconto in cui una streghetta impertinente dona a una bambina un carta di credito magica e la incita a comprare tutti i giocattoli che vuole. La protagonista, comunque, dimostra di essere meno sventata di Cappuccetto Rosso o Biancaneve: lungi dal dare retta alle sollecitazioni del cattivo, si volta dall'altra parte e non casca nel tranello. "La carta di credito fatata non esiste, lascia perdere il consumismo e sarai meno triste" sembra essere la morale impartita dalla favoletta. Niente scherzi: il racconto sarà stampato e distribuito in vari Cantoni ai bambini tra i 5 e gli 8 anni. Certo, nella patria delle banche non potevano inventarsi nulla di diverso: le favole nascono e sono parte della tradizione popolare di un paese. Anche se sinceramente avrei preferito veder nascere un racconto su un cioccolataio troppo goloso: la poca poesia della vicenda di "Plotz Tuusig" (questo il titolo della favola) lascia un po' a desiderare. Ma si sa, oggi bambini e adulti si incontrano "a metà strada": facciamo crescere i piccoli in fretta, mentre gli adulti scelgono di non diventare mai grandi davvero. E allora non posso non pensare che in fondo la parabola un po' brutale della bambina con la carta di credito sia rivolta più agli operatori della finanza che all'infanzia. La crisi mondiale è ancora qui, e rielaborarla non è facile per nessuno. E allora eccoci: dalle favole della buonanotte, si passa alle favole delle bancherotte.

lunedì 19 aprile 2010

Hipp hipp(ie) urrà!

Mi ricordo, a un certo punto, di avere presentato a un mio cugino (ovviamente italiano) il mio allora futuro marito rossocrociato. Il cugino gli ha parlato per un po', ha fatto qualche domanda, raccontato e ascoltato. Poi, tutt'a un tratto, mi guarda e dice: "Beh, svizzero... alla fine è come noi!". Sì, alla fine, "sono come noi" (almeno così sembra). Anch'io, prima di conoscerli un po' meglio, mi immaginavo gli svizzeri come personaggi lievemente stravaganti; sarà forse per l'assurda divisa delle guardie svizzere in Vaticano, tutta variopinta e a sbuffo? Può essere. E probabilmente è da attribuire alla stessa associazione d'idee il mito secondo cui gli elvetici sarebbero tutti precisini e perfettini, ligi alle regole. Però, però... andando indietro con la memoria - nemmeno a tanti anni fa - non è difficile ricordare quegli anni molto hippie in cui in Ticino si vendevano allegramente e non troppo di nascosto grandi quantità di canapa. In realtà, malgrado quello che si crede, la vendita della cannabis non è mai stata legale; semplicemente, in un periodo d'incertezza in cui il governo sembrava andare in quella direzione e le forze dell'ordine aspettavano il da farsi, molti hanno colto l'attimo. Poi gli eventi hanno preso una piega diversa, la canapa è stata bollata indiscutibilmente come fuori legge e ha preso il via l'era dei cosiddetti "processi ai canapai". Alcuni con risvolti esilaranti. Ricordo di avere assistito a uno di questi procedimenti, in cui gli imputati sostenevano sì di avere venduto canapa, "ma solo per collezionisti", quindi non per il consumo, e pretendendo dunque l'assoluta legalità dell'operazione. Il giudice, manco a dirlo, non se la bevve. Ma in ogni caso il capitolo non sembra chiuso del tutto: da anni, infatti, la Svizzera ospita la "fiera mondiale della canapa" (la decima edizione si è conclusa ieri a Basilea). Certo, non si vendono né erba né semi contenenti l'htc. Il mercato della canapa è fatto anche di vestiti, carta, prodotti cosmetici e alimentari; ma le proteste si fanno sentire e secondo molti gli organizzatori giocherebbero volutamente sull'ambiguità. Tant'è, le forze dell'ordine vigilano e non sembrano esserci problemi di sorta. Ma va detto che, tra i responsabili di CannaTrade, qualcuno ammette apertamente che la battaglia per la liberalizzazione della cannabis non è affatto finita. Il fatto, confrontato con l'immagine-tipo del cittadino confederato, sembra abbastanza paradossale, perché equivale un po' a pensare a un banchiere con i rasta. Poi però, ci pensi bene e ti viene in mente che gli svizzeri sono quelli della neutralità. Dell' "io non mi schiero e con la guerra non voglio avere niente a che fare". Che, a modo suo, diciamocelo, è uno slogan molto "peace and love".

lunedì 12 aprile 2010

Ti sorridono i monti...


Tutti la ricordiamo come la bambina paffutella, ipervivace e rubiconda che, ingiustamente vessata, riusciva infine a sconfiggere la signorina Rottermeier e a far camminare quell'antipatica di Clara. Se c'è un mito più svizzero di Guglielmo Tell, quella è la piccola Heidi. La stessa che amava le montagne, il latte di capra e il pastorello Peter. In pratica, come scrivevo qualche post fa, il prototipo d'infanzia che tutti gli insegnanti elvetici cercano di riprodurre quando portano le proprie classi alla "settimana montana". Mai, mai toccare la cultura popolare: è il panico. Specialmente se a rompere le uova nel paniere interviene un rappresentante di una cultura confinante - e dunque direttamente antagonista - del Paese in questione. E' successo che, nei giorni scorsi, il germanista Peter Beutnner abbia tacciato di plagio l'amato libro di Johanna Spyri: le vicende della pastorella sarebbero infatti state volgarmente copiate da tale "Adelaide, la ragazza delle montagne alpine", del tedesco Hermann Adam von Kamp. La notizia ha subito suscitato l'indignazione rossocrociata: e, addirittura, la televisione svizzero-tedesca ha dedicato una serata speciale alla questione, cercando di stabilire inconfutabilmente la svizzeritudine della bimba. Certo che, a pensarci bene, anche nel romanzo della Spyri i tedeschi (in quel caso di Francoforte) cercavano di rapire la piccola Heidi alle sue montagne. Ma gli svizzeri, sotto quell'aria quadrata, hanno uno spirito ribelle, e così - proprio come nella favola - la pastorella ha reclamato con forza la sua appartenenza alla Confederazione, spalleggiata da critici letterari e studiosi di cultura popolare. Una pasionaria elvetica, insomma. Scherzi a parte, non c'è solo la questione dell'affezione per un personaggio tradizionale: perché, al di là di tutto, siamo in Svizzera, patria di banche e finanzieri. E qui, volenti o nolenti, l'ingenua pastorella è diventata un marchio registrato. Il territorio di Meienfled* (ora più conosciuto con ilnome di "Heidiland") è infatti meta ogni anno di frotte di turisti, che mangiano formaggini, bevono acqua minerale e pasteggiano all'autogrill tutti dedicati alla ragazzina, circondati da riproduzioni che cantano lo yodel e caprette che belano senza sosta. Il trionfo del kitsch. E la zona (manco a dirlo) è frequentata soprattutto da giapponesi. L'introito che ne deriva non è da poco. E allora, non è davvero difficile credere che, come recitava la canzoncina, i monti sorridano alla pastorella. Le sorridono eccome, e le fanno anche l'occhiolino. Ringraziandola per l'aiuto, c'è da scommetterci.

*va bè, l'ho scritto sbagliato... per lo script corretto, vedi il primo commento qui sotto (grazie biondino!)

lunedì 5 aprile 2010

C'era una volta un piccolo naviglio...

Il motto, qui in Svizzera, è "fare le cose per bene" (somiglia tanto a una multinazionale che vende formaggi, lo so...). Così, per esempio, quando un cittadino confederato si mette in testa di aprire un museo dei trasporti vedrà di includere nell'esposizione qualsiasi - ma proprio qualsiasi - aggeggio che consenta a un individuo (ma anche a un oggetto) di muoversi da un punto all'altro. Succede a Lucerna, al Verkehrshaus, il più grande e visitato museo della Confederazione. Enorme, divertente e ovviamente ordinatissimo, si estende su qualcosa come 40mila metri quadrati mettendo in mostra proprio di tutto: dalle navi, ai treni, alle macchine e agli aerei. Senza disdegnare, però, nemmeno passeggini, carrelli della spesa e trolley. Paese montagnoso e da sempre complicato dal punto di vista dei collegamenti e delle comunicazioni, la Svizzera non poteva che riservare una grande attenzione a un tema come questo. E, in effetti, i visitatori sono tanti. Soprattutto bambini. Non perché trenini & co. siano cose che interessino solo all'infanzia, ma perché, grazie al cielo, il museo si caratterizza per una spiccata interattività: si parla di trasporti? E allora aboliamo le distanze: sui modelli esposti si sale, ci si siede e... si gioca. E così, con tono scanzonato, anche di fronte a reperti storici come la compagnia di bandiera Swissair (fallita una decina d'anni fa) e a un paio di hostess di cartone si riesce a sorridere senza pensieri. Chissà se un giorno riusciremo a farlo anche di fronte alle vetuste carrozze Cisalpino... Il tempo cura tutto, è vero. Ma, con tutti i ritardi accumulati nella sua storia, è probabile che sarà necessario aspettare. Un altro po'.