lunedì 24 maggio 2010

Problemi... di base

Ecco, io quando ero piccola pensavo che, essendo neutrale, la Svizzera all'esercito non facesse granché caso, che insomma non stesse a preoccuparcisi più di tanto, visto che teoricamente non dovrebbe servirsene. Invece no, con la saggezza che i suoi sette anni in più gli conferivano mio fratello mi spiegò che è proprio perché l'esercito deve poter garantire la neutralità del Paese a dover essere sicura di avere truppe ben allenate, pronte ad agire nel momento del bisogno. Da lì io mi ero messa il cuore in pace e all'esercito svizzero non avevo proprio più pensato, mi dava l'idea di una cosa segreta e impegnatissima: chissà cosa studiavano, nelle caserme montanare, per poter garantire la neutralità. La risposta l'ho avuta nei giorni scorsi, quando sono venuta a conoscenza del progetto "nuove calzature". L'articolo che ho letto iniziava più o meno così: "con il progetto nuove calzature l'esercito svizzero è finalmente riuscito a realizzare una nuova arma". Mi ero giò immaginata l'armata confederata pronta ad esibire piedi muniti di coltellini pieghevoli, estraibili esercitando una lieve pressione sotto all'alluce, pronti a speronare il nemico nel momento del bisogno (un po' come nella scena delle bighe di Ben Hur). Invece no, tutta un'altra cosa. Praticamente, la scienza elvetica è riuscita a produrre delle calze superspeciali che evitano la formazione di fiacche grazie ad una particolare composizione di fibre. Seguono, nell'ordine, le mie reazioni. Primo pensiero: escludere il popolo civile dall'utilizzo di questi calzini è un'ingiustizia sociale bella e buona (scusate, e noi povere donne in carriera intrappolate in tacchi vertiginosi e condannate a calli e duroni non abbiamo qualche diritto? non siamo noi le vere guerriere di oggi?). Secondo pensiero: ok, comode, confortevoli, quello che volete. Ma è appropriato definirle "un'arma"? Ovviamente bastava continuare a leggere l'articolo. Perchè in questo modo ho appreso che le nuove calze sono infine state sottoposte a una prova di resistenza: durante una settimana, 60 reclute della caserma di Aarau le hanno indossate tutti i giorni durante una marcia. Eccola lì, l'arma micidiale: alla fine della marcia, quei calzini, basta tirarli verso il campo nemico. Ci scommetto, mieterebbero vittime.

lunedì 17 maggio 2010

Svizzeri... come me!


Sarà la Svizzera che porta bene? Sarà l'aria salubre delle montagne verdi (bisognerebbe poi chiederlo a Marcella Bella, se pensava anche lei alla Svizzera)? Sarà la combinazione esplosiva di polenta il 1° agosto, fondue a capodanno e rösti per gli altri 363 giorni? Chi lo sa... Fatto sta che, curiosando qua e là nel web, ho scoperto che alcune tra le più grandi intuizioni della storia recente sono balzate nella mente di pensatori/filosofi/scrittori non-svizzeri proprio in territorio rossocrociato. Come se fossero sempre state lì, nascoste da qualche parte, e la visione delle caprette e della neve le avesse tutt'a un tratto liberate.
Per dire, di fronte a un masso dell'Engadina, Nietzsche ebbe l'intuizione dell'eterno ritorno (gli svizzeri ci hanno messo una panchina e una targa, tanto per ricordare l'evento. Ha un testo molto fantasioso: "Qui Nietzsche ebbe l'intuizione dell'eterno ritorno", e tu te ne stai lì davanti a quell'enorme roccia e ti domandi se tutto sommato i canapai non fossero già di moda). Oppure, Einstein: fu durante il suo periodo bernese che nacque la teoria della relatività. O Hemingway, che dalle parti di Montreaux, mentre si dilettava a scendere su e giù dagli slittini (giuro, pare sia stato addirittura campione locale), iniziò a scrivere l'"Addio alle armi". E ancora, andando un po' più indietro, ci fu Arthur Conan Doyle, recatosi a Davos con la moglie: il quale, dato che non sapeva bene come impiegare le giornate, fece arrivare dalla Norvegia il primo paio di sci mai visto in Svizzera, introducendo così lo sport nel Paese. E, oh, certo, per di più decise di far morire il caro Sherlock proprio tra le vette confederate (il luogo è oggi meta di grandi pellegrinaggi). Insomma, le vette innevate e le temperature frizzantine sembrano davvero stimolare la creatività. O forse, chi lo sa, sarà la compagnia degli amici svizzeri, con tutte le loro stramberie, a farci vedere la vita con occhi diversi? In fondo, un altro "non-svizzero" di Zurigo d.o.c., Ignazio Silone, disse tanto tempo fa "Quello che più mi piace degli svizzeri, a dire la verità, sono i loro difetti. Che il buon Dio glieli conservi!". Se lo diceva lui...

si accettano scommesse su cosa saprò creare io... Mary Shelley creò Frankenstein a Ginevra, io sogno spesso di ambientare un horror nel mio posto di lavoro. Chissà..

sì sì, ammetto: oggi un post un po' scacato.. ma sono in ansia pre-dentista, cosa ci volete fare?


venerdì 14 maggio 2010

(tra parentesi)


Non un post vero e proprio (non è mica lunedì!) ma un saluto ai... ticinesi di Pavia. Che, a quanto pare, sono tanti!

lunedì 10 maggio 2010

Voglia di radici


C'è un vocabolo, misterioso e oscuro, il cui significato completo rimane assolutamente intangibile a chi non sia fornito fin dalla nascita di passaporto rossocrociato: sto parlando dell'attinenza. Per il vocabolario italiano-base significa relazione, affinità. Per il vocabolario italiano-svizzero, invece, ha qualcosa a che vedere con le radici della propria famiglia paterna. E in pratica si riferisce al Comune d'origine della stirpe (a quante generazioni sia necessario risalire lo ignoro). Che, come idea, ha anche un sapore abbastanza mitico, profuma di alberi genealogici ed altre storie di famiglia con cui trastullarsi all'ora del tè. Il problema è che, qui, non si tratta assolutamente di un'informazione secondaria o accessoria, nel senso che siamo del tutto fuori dal campo delle "semplici curiosità". No no, l'attinenza è richiesta in ogni documento ufficiale. Potete immaginare il mio stupore quando, chiesti in Comune a Mendrisio i documenti da compilare in vista del matrimonio, mi fecero la fatidica domanda:
"Attinente di...?".
Naturalmente, da spocchiosa e orgogliosa madrelingua italiana quale sono, il primo pensiero che mi passò per la mente fu più o meno "Ma perché i ticinesi devono sempre storpiare le reggenze? si dice "attinente a", non "attinente di"". Poi, pensando a cosa ribattere, mi venne in mente che quella domanda non aveva tanto senso. Cioè, cosa cavolo voleva sapere quella lì? Così, armata di coraggio balbettai:
"Scusi?"
"Attinente di...?"
Santa pazienza - mi dicevo - questa non ha ancora capito cosa sto cercando..
"Sì, beh, ecco, come le dicevo sto cercando i documenti attinenti alla procedura matrimoniale.."
"Ho capito. Attinente di...?"
Ecco, giunta a questo punto alquanto beckettiano della conversazione intuii che, in Ticino, "attinente" doveva avere un significato diverso da quello che gli attribuivo io. Anche la signora doveva essersene resa conto, perché, con l'aria di aver capito che si trovava di fronte a un'altra italiana rimbambita, mi spiegò che voleva sapere il paese d'origine della mia famiglia.
A cosa serva esattamente dichiararlo, è qualcosa che non mi è ancora chiaro. Fatto sta che te lo chiedono per ogni pezzetto di carta ufficiale, ed è proprio a quel Comune che, poi, bisogna richiedere il "libretto di famiglia", vale a dire un fogliettino vidimato in cui l'autorità certifica se sei sposato oppure no e, nel caso, quanti figli hai (casomai te lo dimenticassi!). Sembra che, ovunque tu vada, non importi tanto dove hai vissuto fino ad allora, o che cos'hai fatto nella tua vita, ma piuttosto da quale parte della Svizzera è uscito il tuo dna, chi erano i tuoi avi, e insomma quanto lontano sei andato. Come per tracciare una mappatura precisa della tua storia, perché qui ogni minuscolo paese ha la sua importanza, guai a dimenticarsi che fa parte di te.
Beh, comunque vi voglio raccontare anche la fine di quella famosa mattinata in Comune: "Da che Comune viene la tua famiglia?" mi chiese dunque la signora. "Da Dovadola" (ho sparato a caso, ammetto. Io sono nata a Como, mio papà a Dovadola, suo papà a Mandello, il papà di suo papà non lo so... qual è in tutto questo il mio paese d'origine?) "Da dove?" "Da Dovadola, in Italia".
"Ah!" fece quella di rimando "Allora non mi interessa, mettiamo solo Italia".
Perché sì, ogni paesucolo, qui, ha la sua importanza, per quanto piccolo sia. Ma fuori dai confini... c'è solo il resto del mondo.



lunedì 3 maggio 2010

Uè tagliàn!


"In fondo anche voi siete italiani" ha detto l'altro giorno Pippo Baudo a una cantante ticinese durante la puntata di Domenica In (ci tengo a precisare subito una cosa: l'ho guardata per lavoro, solo per lavoro). Certo, lei per pura cortesia gli ha risposto che è proprio così. Invece credete a me, non è vero niente. Se c'è una cosa che un ticinese sente sempre profondamente di non essere è un "tagliàn" (ci chiamano così. Anzi, in genere prima di quell'epiteto ci piazzano uno "uè", cosicché il dispregiativo completo è in effetti il seguente: "uè, tagliàn!"). Magari vi diranno che discendono dai vichinghi, oppure che hanno parenti in Francia, oppure faranno un passo indietro e vi ricorderanno che la Svizzera fa storia a sé, perché è neutrale. Ma mai (MAI!) ammetteranno la loro vicinanza al ceppo italico. Il che, in qualche caso, assume risvolti decisamente paradossali. Del tipo: andate in qualsiasi grottino e sul menu troverete di sicuro il risotto. Fin qui niente di strano... senonché, a ben indagare, scopri poi che il ticinese medio è profondamente convinto che il risotto (quello giallo, per intenderci) sia un piatto tipicamente rossoblù (sono i colori dello stemma del Cantone, credo). Capirete che, a parte causare una lieve sensazione di daltonìa dilagante, la cosa fa davvero un certo effetto. Perché di chiamare quel piatto con il suo nome "scientifico" - sillabiamo insieme, su: ri-sot-to-al-la-mi-la-ne-se - non se ne parla proprio. Altro esempio, visto che la stagione si avvicina: i mondiali di calcio. Niente suscita la competitività dei ticinesi più della maglia azzurra: si tifa sempre e comunque l'avversario.C'è Italia-Ghana? Allora forza Ghana! La cosa più incredibile, poi, è che è una rivalità per quel che ne so a senso unico (per dire, io per la piccola nazionale Svizzera avevo sempre un po' parteggiato). Ma tant'è, la realtà di confine è questa qui. E chissà se l'idea di Regio Insubrica prima o poi ci salverà...

ogni riferimento a persone o cose realmente accadute è da considerarsi puramente casuale

*la frenesia da mondiale ha avuto inizio già da qualche mese. Nell'immagine, un coniglietto di Pasqua indossa la divisa della Svizzera. Qualcuno dice che somigli più a uno scudo... non è che adesso diranno che anche lo scudo è roba confederata? (di questi tempi parrebbe strano...) va bè, comunque il coniglietto era buonissssssimo!